Tuesday, February 12, 2008

Nuova Intervista sulla 'zine Raw & Wild

Intervista agli Orient Express
di g.f.cassatella

Direi di iniziare presentando la band ai nostri lettori…
(Pablo) Il progetto Orient Express nasce nel 2002 come trio (composto da Vito al basso e alla voce solista, Gg alla chitarra ed il sottoscritto alla batteria) particolarmente devoto alle sonorità degli anni ’70. Con questo assetto (e con alle spalle un semplice demo registrato in soli due giorni) abbiamo avuto la possibilità di girare i palchi di mezza Italia tra contest come l’i-Tim-Tour 2003, il Rock Tv Tour a Palermo, il Capodanno 2004 a Bari con i Tiromancino, di spalla ai Marlene Kuntz, le finali dello Sziget Festival con Marta sui tubi ed esperienze atipiche come il festival della Canzone d’autore “Rino Gaetano” dove abbiamo proposto per la prima volta un brano in italiano. Dopo apparizioni in alcune compilation di band emergenti, abbiamo deciso di realizzare il nostro primo album e, dopo aver passato l’estate 2006 in studio, abbiamo trovato nella My Kingdom Music un’ottima etichetta disposta a pubblicare il nostro primo lavoro intitolato “Illusion”, uscito lo scorso settembre. Nel frattempo la band si è allargata prima con l’ingresso (durante le registrazioni) di Paki “Blondy” ai synth e recentemente con l’aggiunta di Beppe “Able” degli Ablepsya alla seconda chitarra. Tutto ciò ha portato ad un cambiamento, se non radicale nel nostro sound (gli anni ’70 sono nel nostro DNA), quantomeno nella personalizzazione, sia nell’attitudine che nelle intenzioni, della nostra proposta musicale.

Quali sono le vostre influenze?
(Gg) Amore, Tristezza, Mancanza, Necessità. Credo che queste siano le nostre influenze. Nessuno di noi si è posto una band da cui partire. Poi, d’altronde, i nostri ascolti sono così molteplici e diversificati che donano solo un velo impercettibile alle nostre composizioni.

Come è stato accolto “Illusion” da pubblico e stampa specializzata?
(Pablo) Il disco è stato accolto innanzitutto. La cosa che più ci ha meravigliato sono state le opinioni diversificate quasi all’inverosimile, da “capolavoro” al “noioso”, a paragoni improponibili fino a disamine quasi filosofiche del nostro lavoro. Ciò significa che in un certo senso abbiamo comunque lasciato il segno anche a chi non ha apprezzato il disco. Il mercato tedesco soprattutto ci è sembrato molto ricettivo nei nostri confronti, ragion per cui stiamo cercando di organizzare un tour da quelle parti. C’è da dire che la nostra proposta non ha un pubblico ben preciso, o meglio si pone a metà tra la sperimentazione ed il rock classico senza dimenticare la cosa più importante: le canzoni. Certo non tutta la stampa “metal” può apprezzare quello che facciamo ma andiamo particolarmente fieri della recensione di Rock Hard di Novembre scorso che chiudeva con la frase “…… già alla prima occasione la band dimostra tutta la propria maturità e le potenzialità che…potranno proiettare il nome degli Orient Express ai vertici della scena alternativa italiana..” Ce n’è abbastanza per essere soddisfatti.

In sede di recensione ho paragonato il vostro primo lavoro ad un viaggio. Voi come lo descrivereste?
(Gg) Il viaggio rende molto bene l’idea di ciò che volevamo esprimere con il nostro primo album. Ma è un viaggio molto doloroso, è uno scavare all’interno delle nostre debolezze e all’interno dei nostri dolori. La mancanza, appunto, di cui stavo parlando prima. E’ un viaggio che neanche noi sapevamo dove ci avrebbe portati, e posso anche dirti che non so ancora dove ci porterà. È un lavoro molto duro di sentimenti e sensazioni e, per quanto imprimerle su disco ce ne abbia liberato, ascoltarle fa ancora uno strano effetto.

Perché un titolo come “Illusion”?
(Pablo) Ci piaceva l’idea di intitolare l’album con un’unica parola e “Illusion” era quella che più di altre rappresentava il concept dell’album. C’è un filo conduttore lungo tutti i brani sia nei testi che nelle musiche: l’illusione di vivere costantemente nell’attesa di un evento, una persona o un gesto che possa cambiare la nostra vita radicalmente, l’attesa, lo spazio che ci separa dal sogno irrealizzabile o che si realizza rivelandosi in tutta la sua pochezza. Sintomatico è il chorus del brano omonimo “all this faith, illusion…feed my needs, confusion”, basterebbe solo quello per definire ciò che volevamo dire con questo disco.

Come nasce un vostro brano?
(Gg) Non c’è un iter che seguiamo nella composizione dei nostri brani. Credo che nessuno nel mondo musicale segua un clichè, o perlomeno mi piace pensare questo. Per quanto ci riguarda, un brano può cominciare da un testo o da un semplice accordo di chitarra su cui articolare una melodia vocale. Non so esattamente cosa risponderti perché un brano è come accarezzare la chioma della donna che ami, un brano è un gesto fatto con naturalezza e purezza d’intenti. Tutto qui.

Chi cura i testi e di cosa parlano?
(Pablo) Per questo primo disco i testi sono quasi totalmente nati da mie idee condivise da tutti, come se fossi portavoce del sentire emozionale della band, e d’altronde sono suggeriti dalla musica che nella maggior parte dei casi nasce per prima. Non ci sono mai stati dubbi nel fatto che i testi dovessero parlare di vicende personali, quotidiane ed attuali. Non ci sentiamo a nostro agio nel parlare di altri, di politica o di vicende che non vengono vissute in prima persona, questo perché siamo troppo presi da noi stessi in questa forma di egocentrismo “terapeutico”. Curiamo il nostro malessere con le nostre canzoni.

“Illusion” è uscito per la My Kingdom Music, siete soddisfatti?
(Gg) Da parte dell’ etichetta è stato fatto un ottimo lavoro. Abbiamo avuto molta visibilità sia su stampa cartacea che telematica, ci è stata vicina durante tutto il periodo precedente l’uscita dell’album. È un’etichetta che lavora bene all’estero ed è su questo aspetto che vogliamo spingere molto, anche perché in Italia c’è sempre stata questa propensione verso un certo tipo di metal che credo abbia leggermente riempito le scatole: io personalmente sono molto stufo di gente abbigliata da mastino napoletano che nasconde gli abiti in ascensore.

Come sta andando l'attività live?
(Pablo) Si suona sempre e comunque in tutti i buchi possibili! Siamo in trattative con alcune agenzie soprattutto tedesche e con una statunitense, staremo a vedere. L’annosa questione del live credo sia il problema principale delle band che come noi sono “indipendenti”. Suonare in giro è sempre più difficile: finchè giochi in casa sei a posto, i gestori dei locali ti conoscono, i problemi nascono dal momento in cui si esce fuori dai propri confini regionali..inserirsi nelle programmazione, rompere le scatole a tutti per poter organizzare piccoli tour quasi solo a copertura delle spese. Sono i problemi quotidiani di chi come noi ha scelto di fare questa dannata attività, che ci piace ancora tantissimo comunque.

Se non erro dal vivo vi avvarrete di un quinto componente…
(Pablo) Come ho già detto abbiamo un secondo chitarrista con noi, Beppe, già dalla scorsa estate..è il nostro jolly, importante per l’economia del suono della band..anche perché sul disco ci sono diverse chitarre e l’impatto dal vivo sarebbe stato minore senza di lui che, all’occorrenza, è anche un ottimo bassista.

Con quali band vi piacerebbe dividere il palco?
(Gg) Una su tutti: Sophia.

A voi il compito di chiudere l'intervista...
(Gg) Grazie per lo spazio concessoci, è molto piacevole ricevere attenzione dalla stampa. A tutti i lettori consiglio di dare un ascolto al nostro album e di farlo con serenità: vi lascerà sicuramente qualcosa. Non siate mai superficiali.