Wednesday, November 14, 2007

Nuova Intervista degli Orient Express sulla webzine Stereo Invaders

da StereoInvaders

a cura di Machinegun
In occasione dell’uscita del loro “Illusion”, già recensito su Stereo Invaders, siamo andati a scovare i segreti che si celano dietro questo gruppo, che a nostro avviso è tra le migliori rivelazioni dell’ultimo anno … psichedelica, emozioni, introspezione: parliamone con Gigi, chitarrista degli Orient Express ...!

- Prima di tutto benvenuti su Stereo Invaders!! Complimenti per il disco che mi ha colpito molto: cambiereste qualcosa ora a lavoro finito?

- Ciao e grazie innanzitutto. Premetto che il disco ha colpito molto anche noi (eheh…) e a lavoro compiuto non credo che cambieremmo qualcosa: è stato un processo di composizione molto naturale, come imprimere le proprie emozioni appunto, ed essendo queste molto vere e sentite non possiamo far nient’altro che accettarle così come sono nella loro semplicità e sincerità. Più che cambiare, si sente già la necessità e la curiosità di capire che direzione prenderanno le nostre future composizioni.

- Vedo e sento che vi ispirate ai Motorpshyco…un gruppo incredibile, quali sono gli altri gruppi che condizionano la vostra musica??

- I nostri ascolti sono chiaramente molteplici e ognuno di noi ha degli ascolti, a loro volta, completamente diversi da quelli di un altro componente della band. Più che di ispirazione, io parlerei di influenze che la musica di alcune bands ha esercitato sul nostro modo di vivere e quindi di comporre: God Machine, Nick Cave, Swervedriver, The Cure e la scena psichedelica in genere, ma come puoi notare sono nomi che danno un’impronta alla nostra musica, ma, in essa, non troverai mai niente di veramente simile a quello che sono i nostri “gruppi di riferimento”.

- Girando per internet mi aspettavo che il vostro CD fosse accolto con più entusiasmo: cavolo, è un ottimo lavoro!! Sono io che ho visto le recensioni sbagliate, solo un caso, o siete vittime della malattia più grave dei recensori: la metallarite!!

- Concordo pienamente con te. Non voglio far trasparire alcun “sentore” di presunzione, ma credo che, in generale, ci sia una predisposizione verso l’heavy-metal e affini. Questi sono chiaramente generi molto lontani da noi. In seconda analisi, il nostro è un prodotto molto “americano” lontano dagli stilemi british tanto in voga, e lontano dai suoni gonfi e pompati dell’heavy-metal, quindi credo sia naturale provare un “senso di smarrimento” a primo ascolto. Inoltre credo che le recensioni siano discretamente positive, non si può urlare al miracolo perché nessuno ha voluto creare in studio un capolavoro, ma inevitabilmente il nostro è un lavoro emozionale e credo che chiunque sia “dotato” di un minimo di sensibilità possa avvertirle nella loro pienezza, se poi questa non fa parte di coloro che hanno l’infezione dalla “metallarite” (come la chiami te), vuol dire che tale lavoro emozionale non è semplicemente diretto a loro.

- Quanto vi sentite legati agli anni ’70 ed alla attitudine artistica di quei tempi?

- Mbè, gli anni ’70. Anche se non hai mai ascoltato nulla di quel periodo ci sarà sempre qualcosa che richiamerà quella scena. Personalmente ne sono un grande estimatore e in noi c’è inevitabilmente qualcosa di quella. I nostri show dal vivo spesso lasciano ampio spazio all’improvvisazione e ad atmosfere molto dilatate, caratteristiche, queste, proprie degli anni ’70. Ma in fondo credo che il nostro album sia molto più “moderno” di quello che si possa credere.

- Fate un track by track molto libero descrivendo ogni canzone:

- Non è affatto semplice…la prima traccia (“Eternal Child”) è la nostra scommessa: abbiamo scelto come brano d’apertura la canzone che più ci rappresenta. Usando le parole di Antonella (che credo siano le più giuste riguardanti “Eternal Child”): Un luogo sospeso in cui dolore e piacere convivono, amarezza e dolcezza, speranza e disperazione. È la sintesi del viaggio che non vuole, o forse non sa, trovare la fine.
“Madness” è uno sputo rock, uno sfogo, la definirei come una masturbazione violenta in cui allontani un seme malato.
“Illusion” è quando perdi anche la speranza, quando credi che tutta la fede che hai provato sia, appunto, soltanto un’illusione: è la ricerca di questa fede in cui, inevitabilmente, troverai soltanto prove di tale illusione.
“Prison Head” è una canzone d’amore, di un amore malsano, schiavista, che ti rende tutto tranne che libero, un amore che pone l’uomo come vittima: egli sa che quest’amore si ritorce su di sé ma cerca ancora di sperare.
“Rats Know” è la sensazione di individualità che ognuno di noi prova: quando poni te stesso e il mondo su due piani distinti e paralleli durante un momento di alta negatività.
“Ten Drops” è una passeggiata meditativa, come prendere un po’ di tempo per sé e lasciare per un attimo tutto alle spalle.
“First Dawn” è il senso di riscatto e rivalsa: “Pietra su pietra affinché raggiungerò la mia prima alba” (…).
“Hidden Man”… non voglio descriverla, è troppo difficile, sarebbe un viaggio nel dolore troppo intenso. Vedi il testo.
“Today” è quando credi di aver capito cosa finalmente puoi fare a partire da “un’oggi”, dopo che hai dovuto digerire gioie e dolori.
“Euphoria” è pieno teatro: come una sensazione che affievolisce la mente e ti stampa sul volto un sorriso inebetito mentre gli occhi piangono lacrime di vuotezza e tutto ciò che vorresti è soltanto un piccolo sorriso di comprensione. A volte è dura risalire.


- La musica…tanti soldi che se ne vanno e pochi che rientrano, secondo voi quale è la ricetta giusta per far ritornare l’industria musicale in alto? In Italia, ma non solo, i negozi di CD falliscono uno dietro l’altro, le etichette hanno molte difficoltà e chi suona si trova spesso ad essere l’ultimo dei sognatori. Si finirà come i Radiohead a distribuire il disco sul sito ad offerta libera?

- Non trovo via alternativa se non rispondere, anche se vorrei tanto ignorare la domanda (eheh…). Affinché l’industria musicale torni in alto c’è bisogno che la musica stessa diventi un fattore culturale ancora più importante: spesso c’è una distinzione assurda, c’è musica che viene considerata di élite e quindi intoccabile, poi c’è chi ascolta la musica cosiddetta underground e tende a considerare anch’essa intoccabile, e poi nel mezzo abbiamo un mare di Laure Pausine e Fabri Fibre. Nessuno sente il bisogno di cambiare l’industria musicale perché c’è chi ci sguazza dentro come un porco nel suo recinto di fanghiglia. È una questione “politicamente culturale”, e credo che questo succeda ancora più evidentemente in Italia. I Radiohead possono farlo, mi auguro abbiano trovato un’alternativa valida, anche se è insostituibile la ritualità e il piacere in essa intrinseco che si prova nell’acquisto di un CD.

- Vi saluto con rispetto ragazzi….continuate cosi , il vostro disco è stupendo: ci venite a Roma prima o poi??

- Grazie per l’apprezzamento Dario. È una cosa che mi riempie davvero di gioia. In questo periodo stiamo pianificando le date per una promozione piena del nostro lavoro discografico su territorio nazionale e Roma compare inevitabilmente nel programma, per cui credo che prima o poi siamo destinati ad incontrarci (eheh…). Un saluto a te e alla redazione e a chi legge e ascolta: non siate mai superficiali.